Costruire relazioni di qualità per attrarre le persone in azienda

Immaginate di non esserci più.
Sì, proprio in quel senso lì.

È con questa proposta che dal 2019 accogliamo i visitatori di After/Dopo, un progetto di Effetto Larsen sulla contemplazione della mortalità. Da artisti impegnati nel campo dell’arte relazionale, ci stava particolarmente a cuore proporre un modo di esplorare il limite dell’esistenza in grado di coinvolgere senza costringere, far riflettere senza sconfortare, includere senza travolgere.

(Leggendo queste righe vi starete forse chiedendo come questo tema c’entri con tematiche di business, e vi assicuriamo che c’entra eccome. Ci rivediamo in fondo all’articolo.)

Come funziona After/Dopo?

I visitatori sono chiamati a svolgere lungo il percorso delle attività con cui lasciare tracce del proprio passaggio. L’insieme di queste tracce costituisce l’opera d’arte. L’unica condizione per affrontare il percorso è, appunto, immaginare di non esserci più.

Le attività sono semplici: si può dare risposta a delle domande posando delle pietre sul pavimento, dicendo sì con una pietra a destra, e no con una pietra a sinistra. “Ci pensi mai?” “Ti fa paura?” “Pensi sia la fine di tutto?” “Pensi potrai stare vicino ai tuoi cari dopo?”

Si può scrivere tutto ciò che si lascerebbe ora, in questo momento, dividendolo in categorie come beni materiali, dati digitali, sentimenti, relazioni, cose in sospeso, segreti e cose imbarazzanti. Si può disegnare una mappa delle proprie relazioni come se fosse una costellazione nel cielo, e ancora, attraverso un telefono rosso, è possibile registrare un messaggio per i propri cari. Ci si può stendere su un tappeto di foglie, per ascoltarsi e ascoltare cosa accade nel corpo.

La dimensione collettiva: (re)imparare ad “alzare lo sguardo” e accogliere l’altro

All’inizio del percorso, le persone sono molto concentrate su di sé: dove mettere i sassi, cosa scrivere sui biglietti, come tracciare la costellazione delle relazioni. Dopo un po’ cominciano ad alzare lo sguardo, ad accorgersi di cosa hanno lasciato gli altri, a leggere le loro tracce. Scoprono vissuti e desideri simili ai propri, o talmente lontani da essere complementari. Scoprono di nascondere segreti imbarazzanti che in realtà, tanto segreti o tanto imbarazzanti non sono. Scoprono modi diversi di intendere la mortalità da cui imparare, o da cui prendere le distanze. Realizzano che le stesse esperienze possono essere vissute con emozioni differenti.

Un po’ per volta si accorgono di star condividendo qualcosa che va oltre la loro individualità, sperimentando il piacere di accogliere pensieri ed emozioni altrui, di integrarli, alimentando così la consapevolezza di una dimensione collettiva. La profondità dei contributi lasciati dalle persone diventa stupefacente nel momento in cui si realizza che non si tratta, appunto, di tanti singoli contributi, ma di un’unica opera, resa possibile dall’immaginare un confine e dal farlo insieme.

Grazie alla qualità della loro presenza, i visitatori hanno conferito una sorta di sacralità al percorso, portando il progetto ben oltre le nostre aspettative iniziali. Ci siamo resi conto di aver costruito un dispositivo che rende possibili un linguaggio comune e un pensiero condiviso sulla mortalità: in una sola parola, un rituale.

Una richiesta, in particolare, ha cambiato profondamente la visione dell’arte per noi: diversi partecipanti hanno manifestato il desiderio che l’installazione restasse sempre aperta come un nuovo servizio pubblico permanente, un rituale collettivo per la contemplazione della mortalità da costruire e fruire insieme.

L’arte come strumento per esplorare il nostro rapporto con gli altri

Abbiamo capito in quel momento di aver intercettato un bisogno inespresso della società. Non solo: ci siamo resi conto di poter farlo emergere, esprimere, dargli forma creando un tempo e uno spazio a lui dedicati attraverso uno degli strumenti più efficaci per coinvolgere l’essere umano: l’arte. Un linguaggio che merita più spazio nelle nostre vite e nella nostra società.

Leggendo le tracce lasciate lungo il percorso si scopre che le persone parlano quasi esclusivamente delle proprie relazioni. I partecipanti si ritrovano quindi ad esplorare il loro rapporto con gli altri, un confine che viviamo tutti i giorni senza quasi accorgercene: quello che ci separa, che ci divide, che ci fa dimenticare la possibilità di costruire senso, ritualità, comunità.

Manutentori di relazioni: i benefici del portare l’arte in azienda

Quando ci chiedevano cosa facessimo di mestiere, spesso rispondevamo ironicamente che per lavoro uniamo puntini e persone. After/Dopo ci ha mostrato cosa ci sta veramente a cuore: ciò che accade tra le persone, la possibilità di recuperare senso di comunità. Ci ha anche regalato un job title che amiamo molto: da allora ci definiamo manutentori di relazioni.

Questo titolo non ci è stato dato in ambito artistico, ma mentre stavamo lavorando in un’azienda in qualità di formatori. Anche in quel caso ci siamo resi conto di aver intercettato un altro bisogno inespresso, o perlomeno poco ascoltato: la necessità di qualcuno che aiuti organizzazioni e team a curare le proprie relazioni, a sviluppare consapevolezza dei propri comportamenti, ad includere nell’operatività anche la qualità della relazione, troppo spesso vista come un lusso.

Un punto sostanziale dello sviluppo del senso di community nelle organizzazioni consiste nel realizzare che non si tratta di buonismo o di gentilezza fine a sé stessa: prendersi cura delle relazioni ha anche una sana componente egoistica, perché il contributo dei singoli verrà messo in circolo, nutrirà il vocabolario comportamentale, tornerà indietro in forma di consapevolezza. “Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”, diceva Gandhi, e in questo caso il mondo è a portata di mano per mostrarsi nella sua evoluzione.

Come si fa ad attrarre persone in azienda?

Molte aziende si stanno impegnando nel migliorare il benessere dei propri dipendenti, un aspetto fondamentale in questo momento così turbolento per il mercato del lavoro. La sfida è restituire senso al lavoro delle persone, un senso che è possibile solo costruire insieme, e che non si risolve solo nel condividere mission e vision, ma contribuendo a migliorare la società in cui viviamo facendo delle nostre organizzazioni modelli virtuosi, capaci di attrarre persone che desiderano un contesto sano e che si sentono in grado di contribuire a questo benessere.

Uno degli aspetti più forti per chi fa l’esperienza di After/Dopo è immaginare ciò che si dovrà lasciare andare. È una capacità che va allenata spesso, e che ci tocca da vicino: pensate a un cambio di azienda, di ruolo, a una delega importante, a una variazione del team. La perdita è il trigger della tristezza, un’emozione preziosissima che ci permette di raccoglierci per realizzare chi e cosa diventeremo dopo quella perdita.

È scientificamente provato che la qualità delle nostre relazioni è l’elemento della nostra vita che più di ogni altro influenza il nostro benessere, eppure è la risorsa che più diamo per scontata. L’arte ha il potere di valorizzarla: solleva le regole abituali, crea uno spazio dove è lecito infrangerle, dove possiamo lasciarci coinvolgere su ogni piano: cognitivo, emotivo, fisico e, perché no, spirituale. Siamo soliti concederci queste aperture solo in contesti precisi: una mostra, un concerto, una sera a teatro. Esperienze come quella di After/Dopo, e tante altre insieme a lei, ci mostrano come sia necessario integrare l’approccio artistico nel nostro quotidiano per rispondere ai bisogni più profondi.