Costruire un approccio innovativo alla Equality, Diversity & Inclusion
Da dove nascono i pregiudizi? Come si formano gli stereotipi nella nostra società? Come si sviluppano le conseguenti difficoltà di convivenza tra persone e idee diverse? La risposta è senz’altro complessa, ma abbiamo a nostra disposizione qualche indizio.
Da sempre, il percorso di ricerca artistica di Effetto Larsen prende spunto da temi latenti nel quotidiano: ci guardiamo intorno con curiosità cercando di cogliere le domande, le necessità e i bisogni della società e delle persone e sviluppiamo a partire da essi un percorso che non necessariamente fornirà delle risposte, ma inserirà questi temi all’interno di una cornice, fornirà una chiave di lettura che, così ci auguriamo, permetterà ai fruitori dell’esperienza di capirli meglio. Fondiamo questo percorso con l’arte partecipata, l’ambito sul quale abbiamo costruito la nostra esperienza negli anni e ci consente di rendere il pubblico una parte integrante del dispositivo.
L’ultimo di questi percorsi di ricerca ruota proprio attorno al tema del pregiudizio e degli stereotipi, e ci ha permesso di costruire un format esperienziale capace di affrontarli in maniera coinvolgente. Si chiama The Fair of Others, la Fiera degli Altri.
Seguendo un metodo sviluppato in anni di lavoro, organizziamo sessioni partecipate, aperte a chiunque voglia prendervi parte: lavoriamo in festival artistici in giro per l’Europa, in contesti comunitari specifici, aziende e organizzazioni. La curiosità è il nostro strumento principale, la nostra bussola. Ci avvaliamo della collaborazione con professionisti della ricerca, in questa occasione la Dr.ssa Alessandra Frigerio, ricercatrice in psicologia sociale e psicoterapeuta, che ci ha aiutato a fare chiarezza e a definire i temi di intervento.
Per orientarci all’interno di un tema così complesso e articolato siamo partiti da un meccanismo che accomuna tutti i gruppi umani: la divisione e la contrapposizione tra “Ingroup” e “Outgroup”, ovvero tra le persone che categorizziamo come “noi” e quelle che definiamo come “loro”. L’Ingroup cambia naturalmente in base alla persona, al contesto e all’importanza attribuita al senso di appartenenza: può essere la famiglia, il gruppo di amici, i colleghi, i connazionali, i tifosi di una squadra, le persone che condividono i miei valori o il mio orientamento politico, sessuale, ideologico.
L’Outgroup comporta invece un senso di separazione, di distanza: un’etnia, una categoria sociale, ma anche chi la pensa diversamente da me, chi ha diverse competenze, chi mi propone un cambiamento che magari fatico ad accettare. Ogni azienda, che è naturalmente anche una comunità di persone, contiene molteplici ingroup e outgroup, che spesso non coincidono con i team di lavoro ufficiali, la percezione tra colleghi o gli aspetti funzionali dell’organizzazione.
È possibile spostare il confine dell’Ingroup e facilitare la convivenza tra individui?
Noi pensiamo di sì, a patto di farlo con gli strumenti giusti. Lavorando per anni con migliaia di persone abbiamo avuto modo di verificare sul campo principi noti, spesso conosciuti e divulgati, ma raramente messi in azione e applicati alla realtà concreta. Ne riporto alcuni:
- Coinvolgere le persone in attività pratiche, che includano in maniera semplice e immediata anche il corpo, impatta in maniera molto più profonda di un semplice coinvolgimento cognitivo
- Le persone sono molto meglio disposte ad accogliere idee e intuizioni che sentono nascere e svilupparsi dentro di sé, piuttosto che concetti trasmessi posizionandole in un ruolo passivo
- La dimensione del gioco è una delle più adatte all’apprendimento, in quanto coinvolge le persone a 360 gradi, attivandone l’attenzione e interessando una molteplicità di aree sensoriali ed espressive
Un’attività ben progettata è in grado di generare una ridefinizione e un cambiamento, andando a toccare non solo la sfera cognitiva, ma anche quella emotiva, e quindi più facilmente quella comportamentale. La diversità è tutto ciò che collochiamo al di fuori del nostro Ingroup, non solo come persone ma anche come valori, idee, pensieri: raramente abbiamo l’occasione di riflettere sulle cornici che creiamo per inquadrare il mondo e di chiederci che forma gli stiamo dando. Mancano occasioni per allenarsi allo sforzo dell’inclusione, per lo stretching necessario per spostare il confine del nostro Ingroup, o almeno per metterlo in discussione.