Il potere del cambiamento: perché essere “forze del disordine” ci conviene

Articolo di Matteo Lanfranchi.

Qualche anno fa mi imbattei in uno scritto di Charles Bukowski, in cui l’autore diceva come faticasse ad andare d’accordo con la polizia, in quanto si tratta sostanzialmente di persone pagate perché non cambi nulla. Ho sempre amato lo sguardo dissacrante, poetico e a volte caustico di Bukowski, che nel mio palinsesto interiore funziona benissimo quando serve dare uno scossone alle idee.

Questa riflessione accese in me una lampadina: le forze dell’ordine servono a mantenere lo status quo, la situazione presente, lo stato attuale delle cose. Sono necessarie per evitare il cambiamento, per mantenere – per l’appunto – l’ordine, per riportarlo nelle occasioni in cui si rischia di perderlo.

Il nostro cervello risponde e ci incoraggia a creare schemi, modi regolari di fare le cose. Questo riduce l’incertezza e fa risparmiare energia. Questi schemi fungono da scorciatoia: non è necessario capire ogni volta come si apre una porta, ad esempio. E sul lavoro funziona esattamente allo stesso modo. Addirittura le neuroscienze ci dicono che, per il cervello, un cambiamento è quasi come un pugno sul naso.

Ma quando serve ordine, e quando no?

Se sto cercando cambiamento devo essere disposto a perdere l’ordine, a metterlo in discussione, ad accettare la confusione come passaggio, come quando si hanno in giro gli scatoloni dopo un trasloco.

Se faccio sempre le stesse cose, applico le stesse soluzioni, utilizzo gli stessi strumenti, non riuscirò a spostare l’asse dell’ordine instaurato. Restando nella metafora del trasloco potrò al massimo cambiare la disposizione degli oggetti, ma non mi troverò mai in una casa nuova. Occorre trovare un altro sguardo, un modo diverso; per dirla con Einstein, “Quando cambi il modo in cui guardi le cose, le cose che guardi cambiano“.

Se le forze dell’ordine sono quelle che mantengono, per cambiare serve qualcos’altro: uno sguardo diverso, la possibilità di sperimentare, la capacità di mettere in discussione il proprio sguardo e ciò che si osserva. Tutti elementi caratteristici dell’approccio artistico e creativo.

È scientificamente provato che le attività artistiche hanno un impatto profondo, stimolando la neuroplasticità e aprendo canali a nuove forme di pensiero e idee. Gli artisti costituiscono quelle che amo chiamare “forze del disordine”, e proprio per questo vengono sempre più spesso coinvolti in ambito sociale e organizzativo ogni volta che serve innescare cambiamento.

Sono le “forze del disordine” a spostare gli assi e a portarci fuori dalla nostra zona di comfort, movimenti necessari per permetterci di scoprire e imparare.

Ed è sempre la scienza a dirci che cambiare, alla fine, non è poi così male. Il neuroscienziato Sam Harris una volta disse: “La mia mente inizia ad assomigliare a un videogioco: Posso navigare abilmente, acquisendo più conoscenze a ogni livello, oppure posso perdere tutte le volte nello stesso punto, lottando contro lo stesso mostro”. Ecco, forse possiamo scegliere se incontrare continuamente ostacoli e lamentarci dello status quo o, peggio ancora, del modo in cui le cose “dovrebbero essere” e non sono; oppure optare per qualcosa di nuovo, di completamente inedito, anche disordinato, e vedere dove ci porta.

Cosa possiamo fare per cambiare?

Come avrete immaginato leggendo, non sono qui a portarvi una formula magica. Anche perché per farlo, per cambiare, appunto, è necessario modificare i percorsi neurali del nostro cervello. Ma quello che mi piace ripetere sempre è che non si possono creare nuove soluzioni con i vecchi metodi.

Come sempre, le piccole cose fanno una grande differenza. Intanto, è necessario capire i motivi per cui è necessario un cambiamento e accettarli. Possiamo ad esempio misurare le nostre prestazioni, e confrontarle con gli altri. Aggiornarci sul nostro lavoro, il più possibile. Fare caso alle cose, prestare ascolto. Festeggiare le vittorie, anche le più piccole. Ascoltare il nostro corpo, il modo in cui comunica senza che noi parliamo. E ancora, i nostri obiettivi: pensiamo di raggiungerli con le forze dell’ordine o con quelle del disordine?

Forse, convincere la nostra mente a trasformare l’incertezza in curiosità può ispirarci ad agire in modo diverso e, alla fine, a cambiare. Vi assicuro che è un viaggio che vale la pena fare.

E tu, vuoi cambiare? Dai un’occhiata ai nostri progetti.